Vi proponiamo un altro racconto scritto dal nostro concittadino Giovanni Cazzato. Sono prevalentemente ricordi del suo lavoro su navi in giro per i mari del mondo. Agli inizi di settembre vi avevamo proposto il racconto di quando cercava lavoro negli anni ’60 ed è stato molto apprezzato. Buona lettura
UNA TRAGEDIA A BORDO
Come tutte le mattine, da quando avevamo lasciato il Mar Rosso , finita colazione, salivo sul ponte e stavo due ore al timone,( si navigava con la bussola magnetica), e sostituivo così il marinaio che lo si faceva lavorare.
Da circa un mese ero a bordo, imbarcato a Catania in qualità di Allievo Ufficiale di Coperta, ed avevo già ottenuto la fiducia del Comandante che, una volta lasciato il Golfo di Aden, mi faceva restare da solo in plancia e pure al timone. Infatti, quando tutto era tranquillo, il comandante saliva sul ponte Comando solo verso le dieci. Qualche minuto prima veniva il marinaio di guardia a stare al timone. Se il tempo era buono e c’era il sole prima il Comandante e poi io facevamo una retta d’altezza, cioè rilevavamo il sole , per poi, al passaggio di questo, a mezzodì, lo si rilevava di nuovo e così potevamo conoscere la nostra posizione sul mare. In questo modo, nel 1961 si navigava e si conosceva il PUNTO NAVE, e co permetteva di tracciare la Rotta da seguire.
Il giorno prima avevamo lasciato Singapore, diretti in Giappone ove avremmo scaricato ferraccio ed altro materiale metallico, quale residuato bellico, caricato in vari porti d’Europa. C’era una calma piatta, nessuno alito di vento e nessuna increspatura delle acque. Quella mattina, alcuni marinai stavano facendo manutenzione e pitturazione in cima e sulla piattaforma dell’albero di trinchetto, cioè a circa 15 metri dal ponte di coperta. Stando al timone vedevo benissimo i marinai che salivano e lavoravano sia lassù che in coperta
Erano circa le nove e trenta quando, tutto ad un tratto vidi un marinaio cadere dall’albero. Si udirono subito degli urla e e grida laceranti. Colpii forte, più volte, col tacco della scarpa il pavimento ( era il segnale per far salire subito il Comandante che aveva la cabina proprio sotto la ruota del timone) ed in men che non si dica il signor Brignasco venne su’ .Dopo pochi secondi- era già sul luogo dell’incidente. Anche il radiotelegrafista arrivò in plancia. Lo pregai di prendere il timone ed anch’io corsi in coperta. Il nostromo era accasciato in maniera scomposta vicino al verricello , mentre il marinaio Stirano che, quella mattina avevo sostituito al timone, era in una pozza di sangue. L’osso del femore sinistro spezzato e che fuoriusciva dalla carne della coscia, il braccio sinistro penzolante e l’arcata sopraciliare sinistra, quasi completamente scomparsa ed al suo posto un buco profondo da cui fuoriusciva tanto sangue. Il poveretto urlava e tremava tutto per il tremendo dolore Il comandante mi ordinò di andare subito in farmacia e portare l’occorrente per medicarlo; mentre egli saliva a prendere la morfina che teneva custodita in cassaforte nella sua cabina.
Anche al nostromo venivano praticate un po’ di cure e gli fu fasciato alla meglio il torace e la spalla lussata in più parti. Egli, che dirigeva i lavori ed approntava gli attrezzi e la pittura, stando in coperta, per istinto, quando s’era accorto della situazione, aveva cercato di salvare il malcapitato, con l’illusione di prendere a volo Stirano, nella speranza di salvarlo o, almeno, di attutire la caduta sul ferro della coperta. Fu questo suo spirito di conservazione che fece sì che il povero marinaio non morisse sul colpo.
Il sole cominciava a surriscaldare le lamiere ( si era circa all’altezza dell’equatore) perciò il Comandante, una volta iniettata la morfina a Stirano decise di far trasportare nelle proprie cabine i due accidentati.
Nel frattempo, tramite radio, si chiedeva il soccorso del caso, contattando per primo l’autorità portuale di Singapore, che era il porto a noi più vicino, comunicando altresì la nostra posizione.
Mi prodigai a disinfettare nel modo migliore le ferite di Stirano, facendomi aiutare a cercare di bloccare la fuoriuscita di sangue, mentre egli, con voce sempre più flebile, causa la copiosa perdita di sangue e l’effetto della morfina continuava a chiamare con voce sempre più flebile :- Carmela, Carmela mia, non ti vedrò più ,Carmela. Senz’altro sua moglie che aveva lasciato due anni prima, quando era imbarcato su quella nave che gli aveva dato un po’ di sicurezza economica ma che ora gli stava dando la morte. Mentre ero nella sua cabina, un paio di marinai sistemavano nella sua valigia di cartone i suoi pochi e poveri oggetti personali mentre io le inventariavo, lo stesso fu eseguito nella cabina del Nostromo, che man mano cominciava a risentire ed a lamentarsi per i dolori che il torace e la spalla gli procuravano. Il Comandante mi ordinò di iniettare anche a lui della morfina.
Su quella nave, tipo Liberty americano, eravamo 35 membri d’equipaggio, ma solo noi ufficiali avevamo qualche nozione di IGIENE NAVALE avendole un po’ studiate nell’ultimo anno di Istituto Nautico, perciò il soccorso che potevamo prestare era oltremodo blando e scarso.
Il radiotelegrafista restava sempre in ascolto e non passò molto tempo che ricevette un messaggio dalla stazione Radio di Singapore, che ci informava dell’arrivo di una nave da guerra e dalla posizione dove si trovava al momento. Questo permise al Comandante di cambiare la rotta e di andare incontro alla suddetta. Infatti nel primo pomeriggio avvistammo una nave all’orizzonte con rotta verso di noi . Erano state issate al pennone dell’albero di maestra le bandiere che servivano per farci identificare e quelle di richiesta di soccorso sanitario. Cominciammo a vedere altresì lampi luce dalla nave in arrivo. In alfabeto Morse essi chiedevano di identificarci, al che pure Noi si rispose con lampi luce. Allora, in lontananza si comunicava solo con le bandiere e con l’ALDIS ( un proiettore munito di una specie di tapparella metallica mobile ) . Non esistevano altri mezzi di comunicazione. Nel frattempo era stato approntato il nostro scalandrone per facilitare la salita a bordo ed anche un bigo per l’eventuale trasbordo su una barella o lettiga dei malati.
Ci veniva incontro un incrociatore della Regia Marina Britannica che si trovava in quelle zone. Appena fermo, nelle nostre vicinanze, ammainò una scialuppa ove notammo che scesero parecchi militari per raggiungere la nostra nave. Subito, alcuni di loro furono accompagnati nelle cabine degli accidentati .Essendo io sempre nella cabina ,ricordo che quando videro lo stato pietoso di Stirano restarono quasi trasecolati e ammutoliti. In pochi secondi decisero di trasbordarlo sulla loro unità navale , è quanto riuscii a capire da quello che dicevano e da come si comportavano. Notai che scrissero qualcosa che diedero ad un loro subalterno che tornò alla scialuppa per andare a bordo dell’incrociatore, da dove ritornò subito dopo, con un paio di altri marinai e con barelle, bende, medicinali.
Altri militari andarono nella cabina del nostromo e stabilirono di sbarcarlo, perché sull’incrociatore c’erano le attrezzature adatte per poterlo curare . Nel frattempo, nell’ufficio del Comandante, altri militari espletavano alcune pratiche per il trasbordo dei due malati, cosa che avvenne nel giro di poco tempo. Osservai che alcuni Ufficiali dell’Incrociatore chiedevano informazioni e facevano domande ai nostri marinai, ma solo qualcuno riusciva a capire o a spiccicare qualche parola di inglese.
Una volta sistemati sulle barelle, i nostri furono trasbordati e anche tutti quanti i militari lasciarono la nostra nave messo di nuovo in moto, riprendemmo la navigazione. Ma si può immaginare lo sconforto che c’era a bordo e la tristezza che aveva pervaso tutti noi e lo stato d’animo in cui ognuno era precipitato come il lettore può ben immaginare .Poche ore dopo che si era ripartiti il radiotelegrafista ricevette un messaggio che recò al Comandante, che stava in plancia. Ricordo che vedendo il suo viso tirato e triste capii che si trattava senz’altro di una triste notizia. Il comandante, infatti, strano a dirsi, con gli occhi lucidi, quella volta ci comunicò subito che Stirano non ce l’aveva fatta, era deceduto poco dopo essere stato trasportato .Il nostromo, invece, sebbene con molte costole rotte, nonché il braccio ed altri traumi ,l’indomani sarebbe stato trasferito in un ospedale civile a Singapore.
Già, quella sera, notai una certa freddezza tra il Comandante ed il 1° ufficiale Sig. Scola. Allora, a bordo, era il 1° ufficiale che organizzava e ordinava al nostromo i lavori di manutenzione o riparazioni varie di cui la nave aveva bisogno, divenendo altresì responsabile del personale addetto ai lavori .Ma il responsabile legale di tutto quello che accadeva a bordo, anche nel reparto macchine, era sempre il Comandante
Il viaggio proseguiva verso il Giappone. Sia durante la guardia di notte, ma anche quando incontravo i marinai di giorno, chiedevo come mai il povero Stirano fosse caduto, essendo, quel giorno, il mare liscio come l’olio, nessun alito di vento nè onde lunghe che potevano far rollare la nave. Ricevevo tante risposte, ed ognuna poteva essere vera, cioè: che avesse avuto un capogiro; o che fosse inciampato; che fosse stato abbacinato dai raggi del sole; che avesse avuto un colpo di calore; che, essendo il mare così calmo , i raggi del sole, riflessi dall’acqua l’avessero abbagliato; che avesse avuto qualche altro malore; insomma i motivi potevano essere tanti, né si poteva essere certi di niente e poi, solo il povero Stirano poteva saperlo, ma egli era morto purtroppo . Nella mia mente, perciò, non c’erano altro che dubbi.
Una mattina notai che il 1°Ufficiale stava in coperta, vicino al verricello, con una sagola messa sul tamburo e la teneva in tensione fino a strapparla. In quel momento non prestai attenzione a questa operazione, anche se mi sembrava piuttosto strana ed altresì strano che, tutto solo, senz’alcun marinaio vicino, facesse ciò.
Poi una notte, a mente fredda ,anche perché un po’ più rilassato, credetti di capire che, forse, il 1° ufficiale aveva strappato la sagola della cintura di sicurezza per creare qualche prova a suo favore per l’accidente occorso. In caso di inchiesta, sarebbe stato dimostrato che il povero Stirano aveva la cintura di sicurezza, mentre era a picchettare e pitturare lassù sull’albero di trinchetto, ma che questa si era rotta al momento della sua caduta.
Non so come sia andata a finire l’inchiesta, se inchiesta c’è stata ( erano altri tempi) so soltanto che quella tragedia mi è rimasta impressa per sempre nella mente.
Memore di questo per tutto il tempo che ho navigato, ho fatto sempre indossare la cintura di sicurezza al personale che lavorava ad una certa altezza dai ponti. Inoltre, durante le esercitazioni o altre riunioni sulle navi ho insistito riguardo la prevenzione e fatto mettere avvisi nelle salette mensa e negli altri posti ove maggiore è la presenza del personale di in modo che possa essere visto e letto continuamente che bisogna pensare prima di tutto alla SICUREZZA o, come si dice in lingua anglosassone , SAFETY FIRST ,e che quando si programma un lavoro, bisogna SEMPRE PREVENIRE eventuali infortuni o disgrazie .