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Noi Africani – in ricordo di Armel

da Cosimo Saracino
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Armel. Una pausa interminabile dopo il tuo nome. Non esistono parole dopo una morte così. Improvvisa, che fa male e non ti lascia respirare. Io ho avuto il Privilegio di condividere tanti momenti fraterni. Perché come dicevamo sempre “Noi Africani” ci capivamo subito con semplicità. Eri un ragazzo genuino, e questo lo si vedeva nei tuoi occhi ma soprattutto nelle tue azioni. “Noi Africani” amavamo stare insieme, ridere e scherzare. Ci abbracciavamo sempre fortissimo. Eri un Grande Amico. E poi tifavi il Napoli come mio nonno. Quando giocavamo a calcio, tu ti preoccupavi per il mio Cuore capriccioso e mi incitavi con quel “Vai Gattuso” un po’ in francese. Un giorno, prima della partita, mi regalasti il tuo paio di scarpe da calcetto.

È uno dei ricordi della tua grandezza umana. Basterebbe solo questo gesto per raccontarvi chi era Armel. Un ragazzo umile, altruista, un guerriero che aveva superato ogni difficoltà, capace anche di farti un regalo pur di vederti Felice. Una volta ti chiesi di raccontarmi com’eri arrivato in Italia. E Tu con quegli occhi neri mi facesti tuffare nelle più crude sofferenze passate nei campi libici. Eppure era entusiasmante vedere la tua forza davanti a tutte quelle ingiustizie vissute. Arrivato in Italia superasti di gran lunga qualsiasi altro, perché tu avevi tanta umiltà e voglia di imparare. Così imparasti da zero a fare l’operaio metalmeccanico. E non eri un’operaio qualunque.

Diventasti in poco tempo il miglior operaio della tua azienda, capace di utilizzare anche macchinari avanzati e adoperare il taglio laser. Per arrivare lì, avevi dovuto fare tanti sacrifici e avevi stretto la cinghia. In quel momento prendesti coraggio e chiedesti permesso di poter parlare nell’ufficio del capo. Così entrato, con l’educazione che ti contraddistingueva, spiegasti che non riuscivi a vivere con quel misero stipendio e che dopo l’affitto a te non rimaneva niente per mangiare. Allora il capo ribattè: “Tu quanto vorresti?” e Tu di risposta: “Decidi Tu capo, a me serve solo il necessario per vivere”. Alla fine il capo davanti al tuo educato coraggio dovette capire che aveva davanti a se una persona speciale. Perché subito dopo decise di aumentare lo stipendio, e questo ti permise di fare tutto il possibile.

Avevi preso la patente e avevi anche acquistato una bella Grande Punto blu notte, quasi nera come l’Africa. Mamma Africa! Che Tu non vedevi da almeno 4 anni. E che ogni volta ti chiedevo di raccontarmela. Piatti preferiti, animali, la famiglia, la Costa d’Avorio e la tua infanzia. Ma anche qui la tua semplicità non era passata inosservata tanto che intorno a Te c’erano sempre tantissimi amici. Una sera sotto la Porta Grande un gruppo di ragazze leccesi si avvicino a salutarti. Parlavate francese e io non ci capivo molto. Ma la mia curiosità venne catturata da una parola: “Golden Boy”. Ti chiamavano così. E quando chiesi il perché. Loro mi risposero che eri un ragazzo d’oro…avevano ragione Armel. Eppure Tu più dell’Oro stimavi Dio e Suo Figlio Gesù.

Eri una persona con una cultura, un’educazione e una spiritualità enorme. Da almeno 6 anni avevi scelto di avvicinarti a Dio e studiare la Bibbia come cristiano testimone di Geova e avevi scelto anche di dedicare la tua vita nel servire Dio e avere cura degli altri. Cosi dopo lavoro ti davi sempre da fare in opere di volontariato, stando vicino a chi soffre, parlando delle promesse e del nome di Dio. Non ti concedevi mai un attimo. Da alcuni anni ci vedevamo poco perché avevi scelto di servire nella Congregazione in lingua francese a Lecce. E Tu eri Felicissimo di questo, tanto che la nostra ultima conversazione, qualche settimana fa, è stata proprio su questo. Credevi fermamente nelle parole di Gesù e in un Paradiso Terrestre presto ristabilito.

Anche per questo ci volevamo molto bene, perché avevamo anche la fede in comune. Ogni volta che mi incontravi, mi dicevi: “Grande David” e ci abbracciavamo fortissimo. E a noi africani bastava questo per essere felici. E io ti rispondevo che eri Tu quello Grande. E lo eri davvero Armel. Immaginare la sofferenza e il dolore della tua povera mamma, dei tuoi fratelli e delle tue sorelle in Costa d’Avorio spezza il mio cuore in mille pezzi. Tu mi consideravi un fratello Africano e io un fratello mesagnese. E ogni tanto mi dicevi: “Davide tu ami troppo Mesagne!”. La verità è che anche Mesagne amava Te. Oggi grazie al tuo esempio anche noi siamo figli africani. Il vuoto che lasci è immenso. Addio Armel. Mercì beaucoup!

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