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Le parole di Nichi Vendola per l’unione di Andrea e Vincenzo Mingolla

da Cosimo Saracino
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E’ stato l’ex Governatore della Puglia, Nichi Vendola, ad officiare il rito dell’unione civile tra Andrea Falzone e il mesagnese Vincenzo Mingolla. La cerimonia si è tenuta l’altro ieri nel Castello di Santa Severa, situato lungo la costa Tirrenica a Nord di Roma, patrimonio di inestimabile valore storico e culturale. La giornata di ieri è il coronamento di una storia d’amore lunga 10 anni e vissuta nell’affetto delle rispettive famiglie. Il Corriere.it ha pubblicato l’intervento di Nichi Vendola che di seguito vi proponiamo non prima di aver fatto a nome di tutta la redazione di QuiMesagne.it i nostri auguri più grandi a Vincenzo e Andrea.

(di Nichi Vendola) – Ho preferito scriverle, le parole che dirò, per ragioni di prudenza, anche perché la scrittura consente un miglior governo delle emozioni, e invece parlare a briglia sciolte per quelli della mia età è piuttosto pericoloso, rischi di commuoverti o, peggio, di passare per estremista pure discutendo di amore e dei suoi derivati. Il fatto è che io considero un privilegio celebrare le nozze di due creature rare come Andrea e Vincenzo, considero un dono la loro amicizia, adoro fuggire con loro e la mia famiglia verso i nostri rifugi nella neve o sul mare. È difficile immaginare due esseri umani più diversi, quasi due antropologie distinte e divergenti: eppure Andrea e Vincenzo oggi sono qui, di fronte alla loro comunità di affetti e di amicizia, a promettersi reciprocamente cura, rispetto, ascolto, pazienza, curiosità, amore.

Andrea e Vincenzo – Andrea, sempre così equilibrato ed elegante, autorevole e competente, sembra trarre un particolare carisma dalle sue radici palermitane, forse perché si erge come una torre normanna, solida ma anche misteriosa; nella guerriglia della quotidianità è invece capace di far emergere la sua radice romana anche nella sua declinazione più polemica. La sua grande passione sono il diritto e i diritti, e il diritto di avere diritti è il tema originario che ci ha portato fin qui oggi, in questo castello, a benedire due sposi, a dire bene della loro libertà e della loro responsabilità. Andrea non è solo la bella persona che conoscete, lui è un ideal-tipo dell’uomo protettivo, l’icona del marito perfetto per ogni giovinetta del Sud. Quale genitore non mariterebbe una sua creatura con Andrea. Vincenzo non è una giovinetta del Sud, lui del Sud è l’umanità, la natura sentimentale, l’intelligenza del cuore. Lui, questo folletto che rallegra le nostre vite, è il risultato finale di tante storie, di tante dominazioni, di tante culture che hanno depositato nel cuore del mediterraneo i loro tesori, viene dalla grazia barocca di Mesagne e coltiva la bellezza non come un belletto o merce di scambio ma come disciplina, come impegno. Se Andrea, soprattutto quando è malinconico o incazzato, somiglia ad una statua della Roma antica, al busto di un console o di un condottiero, Vincenzo è viceversa una scultura greca, fluttua per aria con la sua danza, con la magia di un corpo che si fa musica, e quando danza si trasforma, in fauno o in folletto o in Peter Pan. Andrea e Vincenzo sono due persone pulite, pulite nell’intimo, con una naturale propensione all’onestà, al rispetto degli altri, alla conoscenza delle cose. Sono due universi complementari, anche perché entrambi ancora faticano a smaltire i residui dell’infanzia e i postumi dell’adolescenza.

«Da oggi sono ufficialmente una famiglia» -Da oggi sono ufficialmente una famiglia: e scusate se non sono una famiglia normale, cioè validata dal Ministro della Morale e certificata dal Ministro del Temporale, però sono una cosa che c’è, e chi questa cosa la conosce sa che è una cosa bella, sa che è un cosa vera. Carissimi convenuti a questo rito di passaggio, tutti voi siete consapevoli del salto che si compie dinanzi ai vostri occhi: salto culturale. Ciò che era indicibile, l’amore senza nome e senza luogo, senza tetto né legge, l’amore negletto, lo scisma sessuale, la diversità, l’omosessualità: ciò che è sempre esistito ma che sempre è stato soffocato, martirizzato, esiliato, ora, dopo mezzo secolo di lotte per i diritti civili, in una parte del mondo può urlare il proprio nome e il nome del proprio amore. È stato un esodo doloroso quello che ci ha portati lontano dalla terra del silenzio, dove eravamo coinquilini della colpa e della vergogna. Arrivare sin qui, sino ai fiori d’arancio di Andrea e Vincenzo, non è stato facile: secoli di omertà, di clandestinità, di caccia alle streghe, di roghi purificatori, di carcere, hanno segnato il destino di chi non si conformava all’etica sessuale dominante. E qui in Italia, vera retroguardia dell’Occidente liberale, c’è voluta l’ira di Dio per giungere al minimo sindacale dei diritti: quello all’unione civile, cioè al dissimulato matrimonio che festeggiamo qui tutti noi insieme. Noi ora ci divertiremo, brinderemo e danzeremo, eppure giova non dimenticare che ancora oggi c’è chi gioca con la pelle degli altri, che l’omofobia non è un’opinione e neppure uno scherzo, che i pregiudizi e l’ignoranza alimentano un bullismo che in Italia è diventato persino uno stile della politica e del governo.

Il coraggio di non nascondersi più – Mai tacere la barbarie di 80 nazioni al mondo in cui l’omosessualità, ancora oggi, è sanzionata con pene severissime, inclusa la pena di morte. Mai dimenticare che dietro la parola pride, che vuol dire orgoglio, non c’è una intenzione di esibizionismo carnevalesco e fatuo, ma c’è il coraggio che c’è voluto (con noi stessi, con i nostri genitori, con le nostre famiglie, con i nostri amici, con i nostri contesti lavorativi, con i nostri partiti ) per non nascondersi più. Io sono nato in un mondo in cui non si poteva neppure dire il nome della cosa, e soprattutto lontano dalle grandi città si viveva in solitudine la propria diversità. Alla mia generazione è toccato il compito non solo di uscire allo scoperto, di portare in discarica sensi di colpa e vittimismi patetici, ma di nominarci persino come soggetto politico, ma anche di rivendicare porzioni di eguaglianza giuridica e sociale, di imporre norme e di deporre divieti: affinché la legge potesse fare pace con la vita. In cinquanta anni, tanto è il tempo che ci separa da Stonewall, dalla prima rivolta della comunità Lgbt contro la repressione poliziesca, si è consumato un mutamento che vale millenni. La dignità ha battuto l’ipocrisia, la libertà ha battuto la menzogna. Ma questo agio di civiltà giuridica e di maturità democratica che ci consente di stare qua, festanti dinanzi allo sposalizio speciale di due uomini, non è una conquista permanente, occorre difenderla ogni giorno, è minacciata dal regresso culturale che ha ammorbato la scena pubblica. Una élite rozza e incolta non nasconde la propria fede nel pregiudizio, nell’odio, nella ricerca sempre e comunque di un capro espiatorio da sacrificare nel Colosseo della normalità. Ma questi nemici della vita, questi moralisti di Stato e di Antistato, da oggi hanno un ostacolo in più nella loro crociata: siete voi, Andrea e Vincenzo, voi sposi per amore e non per convenienza o per contratto matrimoniale, voi che sapete amarvi rispettandovi, voi che avete voluto condividere con tutti noi l’impegno più solenne, la promessa più radicale: nella buona e nella cattiva sorte, amarvi rispettandovi. A noi la gioia di essere testimoni della vostra gioia. A voi, cari ragazzi che vi siete scambiati gli anelli, l’augurio di un sodalizio per la vita, l’augurio di un cammino lungo e ricco di stupore, l’augurio di un amore che vi faccia battere il cuore ogni giorno. (testo raccolto da Michela Proietti per il Corriere.it)

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