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La riscoperta del bosco perduto di Mesagne – di Stefano Bello

da Cosimo Saracino
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Studiare, osservare e fare ricerca in ambito ambientale è il pane quotidiano di un Educatore e Guida Ambientale Escursionistica e viaggiando per tutto il Salento ogni tanto si fanno anche delle belle scoperte che regalano grandi soddisfazioni, ma mai quanto quelle fatte “in casa”, che ti danno la possibilità di poter aggiungere un piccolo tassello alla cultura del tuo territorio e raccontarlo. E oggi in occasione della Giornata Internazionale delle Foreste vi racconto di un luogo molto particolare. Mesagne è notoriamente una città priva di boschi, certo abbiamo il parco Baden-Powell, pinete simili, ma si tratta di impianti artificiali fatti perlopiù con specie che hanno poco a che vedere con quelle nostrane, con tutti gli scarsi benefici ecologici che ciò comporta… quello che manca sono i boschi spontanei, eppure non è sempre stato così.

 

Fino ad alcuni secoli fa il Salento era ricco di foreste e la provincia di Brindisi, con parte del tarantino orientale, rientrava in quella che era denominata la Foresta Oritana, un vasto territorio caratterizzato da un alternarsi di centri abitati, pascoli, coltivi e grandi boschi, ed anche la nostra Mesagne aveva i suoi polmoni verdi. La maggior parte erano di pochi ettari, ma ve ne era uno estesissimo che inizialmente non aveva un nome distintivo, perchè per i mesagnesi era semplicemente “il Bosco”, un lussureggiante bosco di querce vetuste e macchia mediterranea che alla fine del ‘700 contava più di 200 ettari, e non è dato sapere se prima di allora sia stato ancora più grande.

Si trovava nell’omonima contrada Voscu, che inglobava le attuali contrade presenti a sud: Annunziata, Baccone, Murri, La Cattiva, Torre Mozza e Bosco Colombo, che ne ha ereditato il toponimo. Nell’immagine di copertina di questo articolo è raffigurato in una carta del 1812, subito sotto il centro abitato di Mesagne. Al tempo, Serafino Profilo descrisse di maestose querce delle diverse specie locali quali Lecci, Roverelle, Farnetti, e probabilmente vi erano anche le Sughere, le Vallonee ed i Fragni, inoltre era popolato da cinghiali, caprioli, altra selvaggina, e sicuramente non mancavano i lupi. All’ombra del sottobosco scorrevano le fresche acque che alimentavano le sorgenti di Malvindi, ancora oggi esistenti ma meno attive rispetto a quel tempo, anche in mancanza della copertura boschiva. Doveva essere una meraviglia per gli occhi, un bosco come nella fiabe… però non tutte le fiabe hanno un lieto fine, e tra scissioni di proprietà ed incremento del fabbisogno di terre da coltivare, verso il 1880 i grandi disboscamenti che colpirono il Salento non risparmiarono neanche il grande Bosco di Mesagne, che scomparve quasi del tutto intorno agli anni ’50 insieme ad altri boschi più piccoli come quello di contrada Caposchiavo, Casacalva ecc..

In questi ultimi anni mi sono dedicato alla raccolta di testimonianze, a cercare documentazioni, e soprattutto ad osservare il paesaggio, ed ho scoperto che non si smette mai di imparare dalla natura e dalle proprie radici… un’opera dello storico locale Luigi Scoditti identificava nel boschetto della Cattiva, ancora esistente nei ’60, l’ultimo lembo del grande bosco, ma da lì in poi non si hanno più notizie e di anni ne sono passati molti.. non resta che verificare, ed è stato così che durante un sopralluogo mi sono trovato con sorpresa davanti ad un minuto boschetto di appena 3000 metri quadri (Fig2), ma dal pregio storico, perchè ero davanti agli ultimi quattro alberi superstiti del disboscamento, i Lecci originari dei quali il più grosso misura poco meno di 3 metri di circonferenza (Fig4), hanno di certo più di due secoli e le loro chiome si chiudono come campane su tutto il terreno (Fig5). Tutto attorno è colorato da varie fioriture di ciclamini, anemoni, iris bellavedova (Fig3), e chissà, magari tra qualche settimana potrebbero spuntare anche delle rare orchidee spontanee non appena coglieranno la stagione.

I bei ritrovamenti però sono spesso accompagnati da amare constatazioni; nella parte più esterna del boschetto un incendio avvenuto l’estate scorsa ha carbonizzato gli alberi più giovani, gli ultimi patriarchi sembra si siano salvati per miracolo… ma visto il progressivo abbandono delle campagne e l’aumentare degli incendi mi sorge spontanea una domanda: per quanto potranno sopravvivere ancora? Spero si possa trovare un modo per conservare questo piccolo patrimonio naturale, il bosco perduto e poi ritrovato.

Stefano Bello – Educatore Ambientale, Guida Ambientale Escursionistica
autore di “Messapia Selvatica, scrigni di storia e biodiversità”

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