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Il caffè sulla montagna – di Francesco Simone

da Cosimo Saracino
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Una storia di salite, discese, andate e ritorni.

9 Ottobre 2020.

Ore 16.34 .
La TV urla: “…Ed ecco la carovana compatta che sfreccia nel centro abitato di #Mesagne, cittadina di 30 000 abitanti a 12 km da Brindisi , dove i velocisti tra pochi minuti si daranno battaglia. Il ritmo e’ gia’ altissimo, cosi’ come la temperatura oggi in questa splendida terra che e’ il #Salento.

Mesagne e’ un centro barocco di notevole importanza nel territorio, con un patrimonio artistico e urbanistico da lasciare il visitatore a bocca aperta.

Qui il #giroditalia e’ transitato mezzo secolo fa e a giudicare dall’entusiasmo che vediamo in queste immagini in diretta e’ dopo 50 anni, ancora un evento storico per la citta’.

Guardate che cornice di pubblico, guardate che entusiasmo, guardate come risplende con la luce del pomeriggio la tipica pietra locale dei palazzi del centro.
Il Giro e’ veramente qualcosa di incredibilmente bello, signori telespettatori.
Il Giro e’ l’Italia, il Giro e’ quanto di piu’ bello l’Italia possa mostrare .”

Ecco, ho immaginato quale potesse essere il resoconto/telecronaca di quella che sarà domani’ un giorno speciale e forse epico per la mia citta’.

Dopo mezzo secolo il Giro ritorna a sfrecciare nella mia Mesagne e quando ho appreso la notizia in una piovosa serata di Ottobre 2019 qui a Pisa…e’ stato impossibile non sfrecciare su un immaginario asfalto infuocato di flash passati per tirare la volatona su questa mia fantasia di quello che potra’ essere
domani.

9 Maggio 1984.
Ore 16.34.
Il pomeriggio vira sfumando di colore nel cielo le intense tonalita’ infuocate del giallo e dell’arancio nel cielo dalla “forora” al pomeriggio.
La forora (letteralmente “fuori ora”) e’ quel lasso di tempo che va dalla “menzatia” e piu’ precisamente dal pranzo al pomeriggio ed e’ un momento sacro di assoluta estasi sensoriale.
Da bambino in Salento c’e’ tutta una “educazione alla forora” , che passa per un sottile culto di quello che e’ uno dei momenti sacri della giornata.
La forora e’ sacra perche’ spazio e tempo si fermano, in osseguio al caldo e spesso “allu faugnu” , la cappa di umido snervante tipica dell’estate.
A forora il mondo si ferma, il cervello esige pace, persino i pensieri reclamano una tregua forzata per ritornare pugnaci e combattivi poche ore dopo.
A forora si dorme, ci si abbiocca, ci si “stende”, si riposa, si “fa la siesta”.
In realta’ tutti termini che erano inopportuni e inadatti e che nessuno si sognava di utilizzare, perche’ forse irrispettosi del momenti di catartica stasi che era la forora.
In realta’ ci si poteva addormentare sul divano o letto, ma nessuno quasi aveva il coraggio di svelare i riti e violare la sacralita’ di un momento da rispettare.
A forora non si giocava, non si faceva musica, non si ascoltava musica, non si facevano lavori in casa.
A forora si riposava, ebbene si, si dormiva.
Ma nessuno aveva il coraggio quasi di ammetterlo per non dissolvere l’aura di sacralita’ e sminuirne la ritualita’.
Ricordo che nelle mie forore di Maggio c’era un rituale nel rituale .

Una sacralita’ nella sacralita’.
Una rituale sacralita’ di un sacro rito.
Ricordo che quando ,intorno alle 16 mi svegliava dopo aver dormito di sasso per piu’ di un’ora correvo in cucina dove i miei mi risalutavano come fosse l’inizio
giornata ma occhi e testa erano puntati verso l’unica Tv allora della casa.
C’era il Giro di Italia.C’era Adriano de Zan ” Ed ecco sfilare Bontempi, e poi vediamo Moser, e poi ancora Abdu Japarov, ecco Podenzana, c’e’ anche Argentin, Lemond
“…e giu’ una sfilza di nomi di ciclisti che lui riconosceva a vista ed io mi sono sempre chieste se inventasse o davvero al momento era capace di associare sagoma e nome.
Ricordo che quel ricordo , quella scena non aveva colori e suoni ma aveva anche un odore.
Un odore inconfondibile, amico. Era sempre quello.
Era forte ed era fisso, come una tappa fissa per ogni edizione del Giro.
L’ odore del #caffè.

Mia madre preparava una bottiglia di caffe’ caldo che ghiacciava con un autentico iceberg di ghiaccio.
Lo teneva in frigo e quando, dopo la forora, io e mio padre eravamo entrambi svegli come fosse l’alba di un nuovo giorno, ce lo serviva in bicchieri guarnendolo ed arricchendolo con il latte di mandorla.

Il caffe’ in ghiaccio e latte di mandorla.
Un’ icona della tradizione salentina.
Un’ icona nell’icona della forora.
Ricordo che alle 16 30 guardavo con trepidazione i momenti salienti dei tapponi dolomitici o alpini gustandoli assieme al mio caffe’ ghiaccio e latte di mandorla.

E immaginavo che quell’odore arrivasse fino a quei tornanti infiniti , a quella sofferenza infinita, a quelle ruote che ondeggiavano e a quei polmoni che bruciavano.
Ecco, se fossi stato la’ su quei tornanti, non avrei urlato come facevano le centinaia di persone assiepate ai bordi delle strade , ma avrei offerto loro un caffe’.
Quel caffe’.
Quel caffe’ salentino che era il caffe’ dell’amore di mia madre fatto in un momento sacro della forora.
Ricordo che mio padre da grande appassionato si inerpicava come le gambe dei ciclisti sui tornanti in discorsi di tattiche, di strategie e di leggende.
Forse adesso gli spiegherei che il ciclismo e’ uno sport complesso e quegli scatti sul Mortirolo erano frutto di anni e anni di lavori in soglia anaerobica e
condizionamento sul wattaggio da erogare alla soglia.
Che il massimo consumo di ossigeno di un ciclista e’ un qualcosa di alieno e che per fare quello che fanno loro devi avere una soglia di frequenza cardiaca di quasi 200 senno’ ti stacca anche il tuo vicino di casa.
Pero’ il bello era quello , credere che quei momenti non fossero scienza , fossero sacralita’.
Fatta di sacralita’.
E tutto era sacro ed etereo.
La forora, quelle azioni in montagna, il caffe’ in ghiaccio e latte di mandorla.
Il silenzio della forora rotto solo dalle urla di De Zan.
E impreziosito dall’odore del caffe’.

Trenta anni dopo Mesagne riscopre il Giro.
E io da pochi mesi sono tornato , per coincidenza a fare ciclismo amatoriale.
Qullo che sognavo nella mia Mesagne.
Quello che non potevo fare a Mesagne ma che ho cominciato a praticare in Toscana, dove le salite sono vere e si fatica veramente.
Quello che ogni ragazzino di Mesagne si inventava sul cavalcavia del Cimitero e tra le strade di Palmitella.
Ogni cavalcavia era lo Stelvio e la Torretta era un circuito da fare a cronometro.
Per i piu’ arditi c’era il terribile tragitto fino a Muro Tenente, tra olivi e vigneti.
Pensate, ben 5 km di “tornanti” in pianura.
Roba da Eddy Merckx o Gimondi.
E poco importa se la nostra era una enorme continua tavola di terra senza salite vere.
Per noi era il Giro comunque.
E sara’ ancora Giro, quello vero.
In 30 anni Mesagne ha affrontato salite vere, pur non avendo salite .
Erano salite tristi, fatte di tornanti infiniti e muri snervanti.
La caduta o il rischio di mettere il piede a terra e tornare indietro e’ stato alto.
Ma ce l’abbiamo fatto .
Abbiamo scollinato e ora ci godiamo il panorama da quassu’.
Ora che il battito del cuore e’ tornato regolare e il respiro non e’ piu’ affannoso.
Ora possiamo goderci i palazzi , le chiese , le chianche.
Ora la vista e’ tornata chiara e non piu’ soffocata da sudore o forse lacrime.
Ora l’odore acre del piombo al massimo adesso e’ caffe’.
Nella mia fantasia c”e la gente di Mesagne che assiepera’ a migliaia via Marconi per il passaggio della carovana e la carovana stessa che si fermera’
a sorseggiare… un caffe’.
Prima di salutare, ripartire e dare un arrivederci alla prossima.

P.s: In questo flashback e in questa fantasia manca all’appello un personaggio .
Il piu’ grande , ma troppo piccolo di eta’ per quei tempi e troppo… assente oggi.
In ricordo di #marcopantani
Se passi da Mesagne…”lu cafei stai paiatu”.

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