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Dieci anni dopo la bomba al Morvillo-Falcone – di Martina Carpani

da Cosimo Saracino
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Pubblichiamo un intervento scritto da Martina Carpani sul suo profilo facebook. Martina nel 2012 era presidente della consulta degli studenti e fu protagonista di un movimento straordinario dei ragazzi. Lo facciamo perché condividiamo ogni passaggio del ricordo di Martina di quei giorni terribili che non dimenticheremo mai e per sollecitare altri a ricordare utilizzando gli hashtag proposti nel testo.

19 maggio 2012 – 19 maggio 2022 #iononhopaura10annidopo – chiediamo a tutt* di condividere il proprio ricordo di quei giorni, da oggi al 19 maggio.

Sembra assurdo, ma sono passati già 10 anni da quella dannata bomba. La tragedia della Morvillo Falcone e la morte di Melissa Bassi ci hanno costretto ad affrontare troppo presto le storture e le malignità di questa società. Eravamo piccoli, eravamo ingenui, ma certamente avevamo ragione e siamo stati caricati di una responsabilità troppo grande, che ancora oggi ci pesa come un macigno guardandoci indietro. Io avevo solo 17 anni, ero presidente della consulta degli studenti e coordinatrice provinciale dell’Uds e ricordo quella mattina molto lucidamente. Mi hanno fatta chiamare a scuola e per avvisarmi dell’accaduto e, incredula, mi sono precipitata a Brindisi in una riunione con varie istituzioni del territorio all’ufficio scolastico provinciale. Tutti avevano le mani nei capelli, nessuno riusciva a realizzare o sapeva cosa fare e intanto tantissimi genitori portavano via i figli dalle scuole, ritenendole un luogo non sicuro.

Noi studenti subito ci siamo presi la responsabilità di reagire e di fare qualcosa nel ricordo di Melissa, a sostegno delle ragazze ferite ancora in ospedale e soprattutto per dare una risposta collettiva alla paura che stava lasciando sempre più banchi vuoti. Lo stesso pomeriggio c’è stato il primo comizio in Piazza della Vittoria, dove abbiamo annunciato le nostre intenzioni: non lasciarci intimorire, tenere aperte le scuole, costruire assemblee autoconvocate, riunire in tutta Italia le comunità scolastiche in ricordo di Melissa e per gridare insieme “non si può morire entrando a scuola”.

Durante quel periodo avevamo paura che le passerelle e le telecamere sarebbero presto finite e che avrebbero lasciato Brindisi da sola, esattamente come poi è successo. Ci siamo trovati insieme a parlare delle marginalità sociali del nostro territorio, di antimafia sociale, dei bisogni della nostra provincia dimenticata, periferia di un’Italia lontana, se non per le tante rotte dei nostri fuorisede ed espatriati. I giornalisti e le diverse – ed a tratti assurde – ricostruzioni e piste crimonologhe diffuse dai media non ci hanno aiutato. Data la passione immorale e poco empatica per la cronaca nera diffusa nei media nazionali, hanno parlato tutti di Melissa nel modo sbagliato e molti gionalisti si sono addirittura permessi di andare ad intervistare componenti della Sacra Corona Unita, che in diretta nazionale hanno affermato di non essere mandanti e che si sarebbero occupati loro di fare giustizia.

Dal nulla eravamo tornati ad essere narrati solo come terra di mafia, senza alcuno spazio per l’impegno quotidiano delle tante organizzazioni o per tutte le nostre riflessioni.
Noi studenti abbiamo organizzato in una sola settimana una mobilitazione nazionale a Brindisi, dal titolo “io non ho paura”, sfilando per la città con il sostegno delle organizzazioni sociali del territorio, con in contemporanea altri eventi in tutta Italia. Abbiamo urlato in quella piazza, senza badare alle conseguenze, che non volevamo la giustizia dei mafiosi, che la giustizia siamo noi e che volevamo un futuro migliore, affinchè quanto accaduto a Melissa non accadesse più, che Brindisi era soprattutto quella comunità in strada che aveva riempito le strade e le scuole e non quella narrata dai media, che avremmo ricordato Melissa sempre.

Sono stati giorni molto concitati, nei quali gli eventi ci hanno lasciato addosso una responsabilità molto piu grande di quella che a 17 anni potevamo gestire. Dopo un mese esatto dal 19 maggio, dopo un mese di assemblee ed interviste, durante il concerto a Mesagne in ricordo di Melissa, all’improvviso ho avuto il crollo. Sono intervenuta subito dopo il video del suo ragazzo dell’epoca e poi ho iniziato a piangere, realizzando solo allora che era morta una ragazza e che sarei potuta essere io, sarebbe potuto essere chiunque di noi. Prima di quel momento non avevo avuto il tempo per concedermi di piangere e soffrire, poiché sentivo addosso il peso del mondo ed una personalizzazione eccessiva sulla mia figura, in un processo che in realtà è stato grande e collettivo. Negli anni successivi ho scelto volutamente di non parlarne più molto, ho rifiutato le interviste, mi sono concessa il tempo di elaborare. Melissa non la conoscevo, eppure questo evento mi ha cambiato la vita ed ha segnato tutti noi, in particolare le sue compagne ferite, i familiari ed amici.

Oggi a distanza di 10 anni sento forte la necessità di tornare a parlarne, perchè è successo proprio quello che fin da subito temevamo: il ricordo di Melissa si è esaurito in memoriali sterili, panchine e messe sempre meno partecipate; le istituzioni e le loro promesse sono sparite, lasciando sole Brindisi e soprattutto le ragazze sopravvissute; quel ricordo collettivo ora non vive più in chi oggi va a scuola.
Crediamo, oggi come allora, che la fine del processo giuridico, la fine delle passerelle e delle telecamere non debbano e non possano far cessare il ricordo collettivo di Melissa e di tutto ciò che la tragedia della Morvillo-Falcone è stata ed ha rappresentato. In una società dove ci sono sempre più gesti definiti “folli” che passano giornalmente ai TG, in 10 anni gran parte della comunità si è rassicurata con l’esito del processo, accontentatandosi di dare a questa vicenda esclusivamente un’etichetta criminologica fin troppo conosciuta al solo scopo di dormire sogni tranquilli.

Occorre, invece, uscire dalle vicende processuali ed entrare più in profondità, accettando che viviamo in una società malata e diseguale dove i cosiddetti “raptus” non sono affatto casi isolati ed anzi sono sempre di più i gesti tragici che scioccano molte comunità, magari senza bombe, ma con coltelli, pistole, persino ferri da stiro a volte, e che sta a noi impedire con impegno giornaliero che tutto questo dolore sia normalizzato e diventi solo un sottofondo a volume basso durante i nostri pranzi in famiglia. Come comunità abbiamo vissuto una tragedia umana, che merita di prendere spazio emotivo e di riflessione, fermando le nostre vite frenetiche e dandoci il tempo dell’empatia e dell’elaborazione collettiva.

Lo dobbiamo a Melissa, a chi era vicino a lei e lo dobbiamo a noi stessi. Sfoghiamo insieme la tristezza o il senso di impotenza e facciamola diventare memoria collettiva, ricordando insieme cosa è successo, inondando i social di ricordi e di storie su quei giorni e su come ognuno ed ognuna di noi li ha vissuti, senza lasciarci più soli. Chiediamo a tutti di scrivere, da qui al 19maggio la propria testimonianza, usando l’hashtag #19maggio2012 #iononhopaura10annidopo affinché resti vivo il nostro ricordo e la nostra voglia di giustizia.

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